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Di Alessia Pistolini

Fonte: L’isola che non c’era

Non smette di stupire e pure mai delude, Carlo Mercadante. Sempre prodigo di idee, torna ora con un disco assai singolare, che affronta molteplici temi eppure è un concept album. Il fatto è che qui il filo conduttore va ricercato oltre il contenuto dei testi, e precisamente in ciò che la struttura dell’album suggerisce.

Dunque, funziona così: lui, Mercadante, come è noto, fa il cantautore. Dura vita – e pure questo è noto – quella del cantautore oggidì, alla costante ricerca di un punto di contatto con il pubblico, ovvero il potenziale acquirente della propria musica. Naturalmente, le figure che gli girano intorno, dai produttori agli uffici stampa ai discografici, fino ad altri artisti e pure agli amici, proprio tutti, insomma, hanno la propria idea su quale sia la chiave di accesso giusta per ottenere il successo. Ne ascoltiamo una ad una le voci lungo lo svolgersi dell’album, tra le quali si annoverano la grande artista sarda Elena Ledda e il più noto dei nostri rapper, Caparezza; e proprio tutti lo esortano a scrivere canzoni in un modo o in un altro, a seconda del loro punto di vista. Che fare, dunque? Ebbene, lui risponde sempre con una canzone, di fatto accontentando di volta in volta ognuno di loro, affrontando ora l’amore nella dolcezza melodica, ora la rabbia nelle corde del rock, ora il nonsense ipnotico di un ritornello fatto per restare nella testa, fino alla saggezza del canto antico, assecondando in apparenza le variegate esigenze del mercato. Ma, e questa è la sua rivoluzione, lo fa in modo profondamente personale, e senza mezzi termini canta tutte le sue verità, che non sono affatto accondiscendenti verso il possibile pubblico e di certo nulla di politicamente corretto. Tutt’altro.

C’è una canzone su tutte, quella che apre il disco e gli dà il titolo, che è la chiave di lettura dell’intero lavoro: In testa alle classifiche è un’ironia tagliente che va a conficcarsi dritta nel cuore, disvelandolo, di un ideale prototipo di “cantautore indie”, un attacco allo stereotipo dell’artista finto-malinconico, finto-arrabbiato, finto-decadente, finto-tutto, all’inseguimento di ogni dettaglio che faccia di lui il tipico personaggio che balza, appunto, in testa alle classifiche. Proprio tutto quello che non è questo disco. Che è invece un inno alla verità artistica. Un’esaltazione del vero in forma di canzone, “canzone d’autore” per eccellenza che rifugge l’accondiscendenza opportunistica per esprimere, piuttosto, un sentire personalissimo, senza mediazioni.

Quid es veritas è pure nel grido della madre di Attilio Manca che chiede verità sull’assassinio del figlio, mentre questo episodio e quel cognome, che per destino richiama il vuoto dell’assenza, si fa paradigma di nuovi calvari di nuovi cristi che schiere di ponziopilati qualunque lasciano andare a morte.

Ecco, noi siamo qui, in ognuna di queste canzoni.

Siamo in Sono come nessuno, che nel piglio crudo dell’analisi politica è capace di richiamare alla memoria vecchie e solide invettive gucciniane; un testo importante che vi invitiamo a seguire con attenzione, perché vi si traccia la Storia e il comportamento del mondo al cospetto di questa, dove la responsabilità dei singoli è chiamata a decidere quale ruolo assumersi. Siamo pure in 60 secondi, che è giusto il tempo per decidere di smettere di credere a tutto quel che ci viene raccontato, di cominciare ad approfondire e a ragionare, e magari infine di partire, che non significa fuggire ma cambiare, finalmente. Siamo persino nel canto antico di Vitti ‘na crozza: qui, le parole le riscopriamo, una a una, come probabilmente non ci era mai capitato prima: la morte, il vecchio, il senso da dare alla vita… una parabola popolare avvolta dalla melodia morbida e dai suoni impastati dallo stesso Mercadante e da Giuseppe Scarpato. Siamo, certo, nella leggerezza di Dinghidi Danghidi Dunghi Danghi Down col suo ritornello orecchiabile e insignificante, dove ancora una volta arriva l’ironia a svelare l’anima nascosta del brano; si riconosce qui l’amore di Mercadante per Edoardo Bennato, non tanto o non solo per la scrittura musicale, quanto per l’interpretazione tra il cantato e un parlato che si fa caricatura delle sue stesse parole. Non per nulla, è proprio Bennato il destinatario di un omaggio che prende la forma di Ma che sarà: eccellente il risultato, che restituisce tutta la forza del rock, anche considerato che la chitarra di Scarpato affianca da oltre vent’anni il cantautore partenopeo.

Il disco sfocia in una tenera ghost track, storia nella storia: risvegliandosi da un incubo, il cantautore trova accanto a sé il suo cane Fonzie, lo accarezza, poi intona una canzone, la chitarra sfiorata, dapprima, e sottovoce il canto, e poi in crescendo a raccontare una storia che, stavolta, è tutta personale; due amici a condividere una confidenza, un’intimità di vita che poi, in fin dei conti, è dove tutto deve tornare.