Parla d’amore e di mafia, di calcio e immigrazione, di vanità, politica e violenza e lo fa con simulata leggerezza. La title track è dedicata a Federico Aldrovandi, il diciottenne morto durante un controllo di polizia
L’album “Tra l’altro…” di Carlo Valente è tra i cinque più bei dischi d’esordio dell’anno.
E’ l’opinione di una giuria di quasi 250 giornalisti musicali che hanno votato per stabilire i finalisti per l’attribuzione delle Targhe Tenco, il massimo riconoscimento italiano per la canzone d’autore.
Così, il giovanissimo cantautore reatino dalla scrittura matura e incisiva, concorre al premio per l’Opera prima che negli anni è andato a Vinicio Capossela, Francesco Baccini, Sergio Cammariere, Simone Cristicchi, Le luci della centrale elettrica, solo per citarne alcuni.
Nel suo primo disco “Tra l’altro…” un filo rosso, come quello che attraversa la copertina del cd, unisce musica e parole: i racconti ironici e dissacranti della vita di tutti i giorni, i vizi personali e quelli di una società violenta e corrotta; un sound vivace, corposo e ricco di intuizioni. “In un mondo musicale ’sinth-etico’ – spiega il cantautore – abbiamo cercato di puntare su suoni puri, legnosi, primordiali, sinceri”.
Parla d’amore e di mafia, di calcio e immigrazione, di vanità, politica e violenza, questo disco. E lo fa con simulata leggerezza. In realtà l’album non concede sconti e lo si capisce dal titolo. TRA L’ALTRO è infatti il brano dedicato a Federico Aldrovandi, il diciottenne morto nel 2005 sotto i colpi ricevuti durante un controllo di polizia.
Lo sguardo di Carlo Valente è senza dubbio rivolto alla canzone d’autore più attenta ai temi sociali. La sua rilettura è fresca, attuale, diretta, immediatamente fruibile. Non pontifica, non arringa, racconta, immagina. Così il patto Stato-mafia diventa una storia d’amore, “La trattativa Sandro-Maura”, il viaggio dei migranti una “Crociera maraviglia”, il nostro attempato Paese si trasforma in “Il mio vecchio porcile” di ispirazione orwelliana e il racconto della vicenda Aldrovandi viene narrato in prima persona da un Federico che sorride e tende la mano ai suoi assassini per spezzare idealmente il circolo della violenza.
Il disco è prodotto e arrangiato da Piergiorgio Faraglia e Francesco Saverio Capo.